Settimana da incubo sui mercati finanziari che oltre agli ormai noti problemi legati ad un forte mercato del lavoro e alla persistente inflazione, hanno dovuto fronteggiare anche il fallimento della Silicon Valley Bank.
In realtà la settimana stava per concludersi con alcuni dati macro piuttosto incoraggianti prima di incombere nel “cigno nero” della Silicon Valley Bank (SBV) che ha scatenato un sell-off con pochi precedenti sui titoli finanziari e sul mercato azionario nel suo insieme.
Nonostante il fallimento della 16° banca più grande d’America non è un evento che capita tutti i giorni e che sicuramente provocherà degli strascichi nei bilanci delle diverse istituzioni che ne detenevano partecipazioni, ritengo che possa portare anche ad una svolta positiva.
Ma andiamo per ordine e diamo un’occhiata alle performance delle principali asset class questa settimana.
Come vedi le azioni statunitensi hanno chiuso la giornata e la settimana in netto ribasso con l’S&P 500 che ha bruciato quasi interamente il rally del 10% messo in atto nei primi 2 mesi dell’anno. Questa settimana prometteva di essere particolarmente rilevante per determinare le future mosse della Federal Reserve ed in qualche modo, la direzione dei mercati azionari.
La situazione attuale
Tra gli eventi più significativi della settimana c’è stata sicuramente la doppia conferenza di Jerome Powell di martedì e mercoledì.
Possiamo riassumere il discorso del numero 1 della Fed in 2 passaggi chiave:
- La Fed farà di tutto per raggiungere l’obiettivo principale del suo mandato* di contenimento dell’inflazione intorno al 2% anche se ciò provocherà un po’ di sofferenza per l’economia.
- Il percorso di innalzamento dei tassi d’interesse non è più “a pilota automatico” ma dipenderà dalle letture macro delle prossime settimane o mesi.
Circa il primo aspetto, è evidente che nessuno vuole vedere un rallentamento dell’economia ma è altrettanto chiaro che una crescita economica robusta e un calo sostenuto dell’inflazione non possono coesistere in perfetta armonia.
A questo punto è a mio avviso pacifico affermare che “gli sforzi” fatti finora per ridurre l’inflazione siano stati assolutamente la mossa giusta per la salute a lungo termine dell’economia e dei mercati finanziari. La vera incognita a questo punto è quanto dureranno ancora (ma ci arriveremo).
Circa il secondo aspetto, mercoledì il buon Powell ha riconosciuto che i pieni effetti degli aumenti dei tassi devono ancora farsi strada completamente nell’economia. Tradotto: saranno fondamentali le letture sulle buste paga (come quelle di venerdì scorso) e sull’inflazione (attese per il 14) per stabilire di quanto la FED alzerà i tassi al prossimo incontro del 22 marzo.
Ed ecco qui che entra in gioco la Silicon Valley Bank.
Facciamo però prima il punto sul mercato del lavoro.
Il mercato del lavoro si sta allentando?
Il tanto atteso rapporto sull’occupazione di febbraio è stato, a conti fatti, una sorpresa gradita per gli investitori.
Ok, le nuove assunzioni sono aumentate di ben 311.000 unità a febbraio, ben oltre le 205.000 previste dagli analisti e in un contesto in cui sappiamo benissimo che il processo di disinflazione dipenderà in gran parte dalla debolezza del mercato del lavoro, questa potrebbe apparire come una notizia “cattiva” ma approfondiamo un attimo i dati…
Il grosso delle assunzioni di febbraio proviene dai settori del tempo libero, dell’ospitalità, della vendita al dettaglio e della sanità mentre i posti di lavoro nel settore manifatturiero stanno finalmente registrando un calo.
Se ti va di approfondire la ripartizione delle buste paga di febbraio ti lascio il link diretto del Bureau of Labor Statistics.
Tutto questo è un indizio della normalizzazione dell’economia post-pandemia, con lo spostamento della spesa dai beni ai servizi. Se hai letto il mio precedente articolo: Settimana toro. Il mercato rialzista è iniziato? 3 indizi indicano che ci siamo quasi… saprai bene che gran parte della colpa della vischiosità di questa inflazione dipende proprio dai servizi che, a differenza delle materie prime, ha semplicemente bisogno di più tempo per rispondere alle politiche monetarie della FED.
Ampliando leggermente l’orizzonte temporale, notiamo che il rapporto sull’occupazione di febbraio (305.000) è comunque in netto miglioramento rispetto al dato di gennaio (504.000)**. La crescita complessiva dell’occupazione sta quindi scendendo a dimostrazione che a gennaio erano in gioco alcuni fattori stagionali e una tantum. Inoltre, il tasso di disoccupazione è leggermente aumentato (al 3,6% dal 3,4%) e il ritmo della crescita mensile dei salari è rallentato per il terzo mese consecutivo.
In definitiva: il mercato è affamato di dati che indichino che sono in arrivo ulteriori cali dell’inflazione ma è anche preoccupato che una FED troppo aggressiva spinga l’economia in una recessione troppo profonda.
La botte piena e la moglie ubriaca
Sebbene non sia esattamente un “punto debole”, ritengo che il rapporto sull’occupazione di febbraio ci abbia fornito 2 importanti notizie positive:
- Da un lato abbiamo visto che la tensione del mercato si sta allentando poiché le richieste di sussidi di disoccupazione sono aumentate, le offerte di lavoro sono diminuite, così come il numero di lavoratori che hanno lasciato il posto di lavoro.
- Dall’altro continuiamo ad apprezzare la resilienza dell’economia reale e ciò è in linea con lo scenario più auspicabile per gli investitori azionari ossia quello di un atterraggio morbido in cui l’economia entrerà in recessione ma in forma lieve (notizia positiva sul fronte dell’inflazione) e non prolungata (notizia positiva sul fronte degli utili societari).
Questo è a mio avviso il migliore scenario possibile del resto non si può avere “la botte piena e la moglie ubriaca”.
Cosa centra la Silicon Valley Bank?
Bene… veniamo alla mia parte della rassegna preferita, quella un pochino più tecnica ma anche quella che ti fornirà il maggiore valore aggiunto e probabilmente ti schiarirà un pò le idee in mezzo ad una faccenda di cui tutti stanno parlando ma che in pochi probabilmente hanno compreso pienamente.
La cosa più importante da capire in questo momento è che quando fallisce “una FTX” o “una Silvergate” legata alle criptovalute è una cosa, ma quando fallisce una banca beh… è completamente un altro paio di maniche e la FED questo lo sa e lo sa benissimo…
A questo punto ti starai domandando cosa centra la FED con il fallimento di SVB? Tutto!
La FED ha fatto fallire la Silicon Valley Bank
Ok, questo è il classico titolo click-bait ma siamo quasi al termine della rassegna e non è mia intenzione utilizzare questa strategia per attirare l’attenzione. Detto questo, c’è comunque un fondo di verità nel titolo di questo paragrafo.
Come è fallita la Silicon Valley Bank?
Il discorso è piuttosto semplice, o meglio, cercherò di spiegartelo nel modo più semplice possibile.
La prima cosa da capire è che SVB non è Goldman Sachs, Morgan Stanley, Citigroup o qualsiasi altra banca d’investimento di cui hai probabilmente già sentito parlare.
La Silicon Valley Bank è “semplicemente” una banca commerciale. Il suo lavoro consiste essenzialmente nel raccogliere i risparmi da un lato e concedere crediti alle imprese dall’altro.
C’è da dire che SVB stava anche facendo un ottimo lavoro a riguardo… siccome i suoi clienti erano per lo più startup tecnologiche californiane, ha assistito ad anni di forte crescita dal 2020 al 2022 quando contava depositi per ben 124 miliardi di dollari (insomma, non proprio la BCC sotto casa).
Abbiamo capito quindi che SVB aveva un bel pò di soldini da gestire. Cosa faceva? Beh, come tutte le banche commerciali investiva parte di questi depositi in obbligazioni di Stato a lunga scadenza.
Perché lo faceva? Semplice! Perché i soldi li pagava zero (o quasi) dato che glieli davano i clienti o li acquisiva tramite prestiti a scadenze brevi con tassi allo 0% e li investiva in obbligazioni a lunga scadenza che rendevano tra l’1% e il 2%.
Beh, tutto perfetto ma poi cosa è successo?
Come saprai la FED lo scorso anno ha iniziato ad alzare i tassi d’interesse e ciò ha innescato un rialzo dei tassi d’interesse sulle obbligazioni governative.
Quando i tassi d’interesse sulle nuove obbligazioni aumentano (es. passano dal 2% al 4%) ovviamente il valore delle vecchie obbligazioni diminuisce (perché chi comprerebbe mai un’obbligazione che rende solo il 2% quando a parità di prezzo potrebbe prendere la “nuova” che rende il 4%?)
Quindi tutte le obbligazioni a lungo termine che deteneva la SVB ora valevano di meno ma per una peculiare normativa contabile (da rivedere a mio avviso) nessuno dava grosso peso a queste svalutazioni in quanto in bilancio risultavano semplicemente come “perdite mark to market“.
Queste perdite mark to market dovute alle svalutazioni delle obbligazioni in pancia all’istituto, erano però arrivate a valere $15 miliardi alla fine del 2022, quasi equivalenti alla sua intera base patrimoniale di $ 16,2 miliardi.
A questo punto arriva la chiamata
In una riunione alla fine della scorsa settimana, Moody’s Investors Service chiama SVB:
- Moodys: amico guarda che le perdite non realizzate ti espongono al rischio di declassamento del credito (tra l’altro non di 1 ma di 2 livelli, cosa gravissima per la credibilità di una banca)
- SVB: OK, ora allora vendo un po’ di obbligazioni, realizzo la perdita (dato che abbiamo visto che ora valgono meno) e tu non mi declassi.
Sì, ammetto di averla parafrasata un pochino ma è esattamente quello che è successo. Dai un’occhiata alla figura successiva presa dal Form 8K presentato alla SEC l’8 marzo
Come vedi SVB ha venduto 21 miliardi di dollari in obbligazioni governative con scadenza media 3-6 anni realizzando una perdita di 1,8 miliardi di dollari (evidentemente le aveva pagate 22,8 + gli interessi realizzati fino a quel momento).
Ovviamente SVB voleva recuperare quegli 1,8 miliardi attraverso la vendita di alcune sue azioni e tramite un aumento di capitale ma poi le cose hanno preso una piega diversa…
Quando l’8 marzo è venuta fuori la notizia della maxi perdita di SVB tutti i clienti hanno cercato di prelevare i propri soldini dalla banca in difficoltà. Beh… non erano proprio soldini visto che nelle 44 ore successive al comunicato, i depositanti hanno cercato di ritirare 42 miliardi di dollari, lasciando l’azienda con un saldo di cassa negativo di quasi 1 miliardo di dollari.
Tutto il resto è storia ma veniamo a ciò che conta veramente per noi…
Perché la vicenda SVB potrebbe avere un risvolto positivo?
Ribadendo quello che ho scritto nel post di ieri, ritengo altamente improbabile che il fallimento della Silicon Valley Bank avrà grosse ripercussioni sul sistema bancario americano. Del resto stiamo parlando di una banca commerciale con meno di $200 miliardi di attività (per lo più domestiche), contro i $19,8 trilioni del sistema bancario statunitense che, come quello europeo, è mediamente molto ben capitalizzato per reggere ad un aumento dei prestiti incagliati o in sofferenza nel corso dell’anno.
Certo, la volatilità non è mai piacevole e il fallimento di SBV ne ha portata parecchia, anche sulle crypto (basta guardare alla stablecoin USDC) ma non scordiamoci che il vero ostacolo tra noi ed un rimbalzo duraturo dell’azionario è al momento rappresentato dagli alti tassi d’interesse ed in generale dalla politica super restrittiva delle banche centrali, quella americana in particolare.
Detto che SBV si rivelerà probabilmente solo un piccolo ostacolo fuori programma, perché questa vicenda potrebbe addirittura avere un risvolto positivo?
Anche in questo caso la risposta è tanto semplice quanto potenzialmente valida: perché la FED, ora più che mai conscia degli shock che gli alti tassi d’interesse possono provocare al sistema delle banche commerciali americane, ci penserà certamente 1, 2 o 100 volte prima di compiere scelte azzardate sul fronte di ulteriori aumenti “fuori misura” del costo del denaro.
Detto questo e considerando che le valutazioni di mercato si sono già spostate per scontare molto pessimismo (mentre scrivo le aspettative su un rialzo dello 0,50% dei tassi di interesse il 22 marzo sono al 68% (guarda qui per avere i dati aggiornati) ritengo che i ripiegamenti futuri dovranno essere interpretati come opportunità per aumentare le esposizioni sui comparti “moat” e “growth redditizie” dell’azionario.
Non capita sempre di avere l’opportunità di entrare durante un bear market, considera che l’ultimo mercato rialzista è durato 13 anni: dal 2008 al 2021 con la sola eccezione di un leggero ritracciamento nel 2018. Durante quegli anni, in molti hanno raccolto i frutti degli insegnamenti degli anni precedenti e si sono “sistemati” (o quasi come nel mio caso) per tutta la vita.
Se vuoi farti trovare preparato per cogliere le migliori opportunità che il prossimo bull market ha da offrirti allora ti consiglio di formarti il più possibile.
Su internet trovi gratis tutto quello che ti serve ma se vuoi il piatto servito allora difficilmente troverai qualcosa di meglio del mio corso sugli investimenti dove spiego da un punto di vista prettamente pratico tutto quello che conta davvero per costruire un portafoglio super performante in totale autonomia.
Grazie per l’attenzione
The Investment Boss
Le informazioni relative ai prodotti finanziari presenti in questo sito non costituiscono una raccomandazione o un invito all’acquisto di specifici prodotti finanziari.
*La FED ha per mandato il compito di “perseguire la massima occupazione e la stabilità dei prezzi”
** Le Nonfarm Payrolls di gennaio sono state riviste in ribasso a 504.000 dalle 517.000 comunicate inizialmente